In questi giorni abbiamo visto l’interesse per la collaborazione a distanza, per l’audioconferenza e la videocomunicazione, crescere in maniera esponenziale.
L’epidemia del Coronavirus (COVID-19) ha bruscamente portato in primo piano l’importanza di poter comunicare e collaborare anche da remoto. Quella che era una tendenza che cresceva – lentamente ma inesorabilmente – è diventata un’esigenza non più rimandabile.
Telelavoro e smart working, che prima erano termini riservati a pochi specialisti, ora sono su tutti i titoli di giornali e notiziari.
Le classiche motivazioni del risparmio di costo e di tempo sono così passate in secondo piano rispetto a due esigenze ora fondamentali
- Evitare viaggi e contatti, per ridurre al minimo le occasioni di contagio e di diffusione del virus.
- Mantenere l’operatività, a dispetto della situazione di emergenza, fugando i (comprensibili) timori delle persone.

Governo e regioni sin dalle prime avvisaglie di questa crisi sanitaria del Coronavirus hanno voluto utilizzare da subito conference call e videoconferenza come strumento di coordinamento e confronto.
Hanno voluto poi incentivare e privilegiare telelavoro e smart-working, sia su TV e stampa, che a livello politico-governativo.
In termini amministrativi-burocratici lo abbiamo registrato con la Direttiva n.1 del 2020 – Emergenza epidemiologica COVID-2019, del Ministero della Pubblica Amministrazione.
- Eventi aggregativi di qualsiasi natura e attività di formazione
Le amministrazioni svolgono le iniziative e gli eventi aggregativi di qualsiasi natura, così come ogni forma di riunione e attività formativa (quali convegni, seminari di aggiornamento professionale, etc.) privilegiando modalità telematiche o tali da assicurare, in relazione all’entità dell’emergenza epidemiologica, un adeguato distanziamento come misura precauzionale.
http://www.funzionepubblica.gov.it/articolo/dipartimento/26-02-2020/direttiva-n1-del-2020
Come dunque “privilegiare le modalità telematiche” e “l’adeguato distanziamento”?
Lo abbiamo detto tante volte: la videoconferenza consente di comunicare a distanza – come se si fosse nella stessa stanza. Si risparmiano emissioni di CO2, e cosa ora più importante, si risparmiano viaggi e trasferte non strettamente necessari.
Con un minimo di connessione, si può comunicare dal proprio ufficio, dalla propria casa o in mobilità. Da diversi dispositivi: da PC, come da smartphone e tablet, Apple e Android. Come pure ovviamente dai classici sistemi di videoconferenza di gruppo (cioè per le sale riunione) e via USB (per l’uso personale o piccoli gruppi, magari in huddle room).

Negli ultimi tempi la videoconferenza si è andata sempre più semplificando: basta un clic su un link per entrare in un servizio. O meglio, in una sala virtuale su cloud.
Questa flessibilità si accompagna ad una forte semplificazione della complessità: si riducono al minimo i problemi di installazione / compatibilità e si consente a chiunque di comunicare – anche senza bisogno di particolari competenze tecniche.
Con le conference call e l’audioconferenza il discorso è ancora più semplice, senza la necessità di null’altro che sia un telefono fisso o un cellulare. Si compone un numero, si inserisce un codice e ci si trova in una riunione che può coinvolgere da pochi a migliaia di partecipanti.

Convegni, corsi e seminari – rimandati, cancellati e a volte vietati – hanno trovato nella dimensione virtuale una nuova vita. I relatori non si spostano, e svolgono il loro intervento da casa o dal loro ufficio. O ancora meglio, l’intera conferenza viene virtualizzata, cioè trasmessa online, in modo da limitare allo stretto necessario le persone coinvolte fisicamente.
Molte scuole hanno scelto videoconferenza, webinar e streaming per continuare le lezioni online, trasmettendole agli alunni che non sono più obbligati a recarsi fisicamente nelle aule.
Non registriamo dunque solo un’impennata di “telelavoro” e smart working per l’emergenza del Coronavirus,– ma anche una inevitabile crescita di formazione a distanza e telemedicina.

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